L’eleganza di farsi ricordare. Addio a Giorgio Armani
Quando se ne va per sempre un grande personaggio, per esorcizzare lo straniamento causato dalla sua perdita, si dice un po’ cinicamente che nessuno in fondo è indispensabile. Ma se penso alla morte di Giorgio Armani, non posso non pensare che un uomo come lui lo fosse veramente, e non solo per il mondo fashion.
“Icona” della moda italiana contemporanea, lo stilista ha dato vita ad un brand globale in cui sono incarnati i valori del buon gusto e della raffinatezza italiani per eccellenza. Tra i più celebri uomini al mondo, “re Giorgio” ha rivoluzionato il design (basti pensare alle sue giacche destrutturate), il colore (come non evocare il mitico greige?), i tagli sartoriali (nitidi e precisi), scegliendo fonti di ispirazione retrò (molte delle quali cinematografiche).
Uno dei più prestigiosi ambasciatori dell’eccellenza e della classe “milanese”, Armani ha fatto dell’eleganza in purezza la sua cifra distintiva, sublimandola plasticamente per l’eternità, come si addice ai veri classici. La sua è stata una moda fluida ante-litteram, in continuo divenire, sempre alla ricerca della perfezione formale, ma senza formalismi, in modo semplice e garbato, assecondando il tempo piuttosto che anticiparlo. Uno stile distintivo, sempre aperto alle suggestioni culturali di terre lontane, recependo in particolare il nitore delle linee orientali e medio-orientali.
Ne è scaturita un’estrema libertà creativa, che a metà degli anni ‘70 lo portò ad affrancare il corpo femminile da schemi costrittivi, ammorbidendo e sciancrando i capi della tradizione sartoriale di partenza. Da qui il suo successo planetario che l’ha consacrato agli occhi delle star internazionali, dei media e del pubblico, colleghi compresi. In un’ormai mitica intervista rilasciata al programma televisivo “Mixer” nel 1983, lo stilista dichiarò che per lui il periodo più significativo per la moda fu quello dal 1925 al 1930, che esercitò una forte influenza sulla sua moda caratterizzata da tagli netti e una palette cromatica imperniata su colori freddi come le gamme del grigio e del beige, ma soprattutto del suo adorato blu, oltre che dei classici bianco e nero.
Nato a Piacenza nel 1934, fu a Milano, dove si trasferì con la famiglia nel 1949, che Giorgio Armani maturò le premesse del suo successo professionale, da commesso della Rinascente a stilista del marchio Hitman per Nino Cerruti, per poi concepire nel 1974 la linea Armani by Sicons, e da qui alla creazione di un brand personale il passo fu poi breve. E così ebbe origine il mito universale di “King George”.
Non staremo ad elencare tutte le tappe del suo percorso costellato di trionfi sulle passerelle con i suoi abiti ricercati e radiosi di grazia, con cui ha rivoluzionato il design, modificando le proporzioni tradizionali (si pensi all’eliminazione di imbottiture e controfodere dalle giacche o allo “scioglimento” dei pantaloni nei tailleur). Basti dire che nel corso del tempo la sua attività si è estesa anche agli accessori (occhiali, profumi, orologi, gioielli, cosmetici, mobili e complementi d’arredo), ampliando la rete distributiva in tutto il mondo con diverse etichette, tra cui Giorgio Armani Privé, Giorgio Armani, Armani Collezioni, Emporio Armani, Armani Jeans, Armani Junior, Armani Exchange, ecc.). Fu molto attivo anche in ambito immobiliare, della ristorazione e dell’hotellerie di lusso.
Fu straordinario per sensibilità e generosità anche nel suo impegno a favore di iniziative ed enti benefici.
Nel 2000 il Guggenheim Museum di New York gli rese omaggio con una retrospettiva, così come giornalisti e intellettuali gli dedicarono libri, saggi, documentari, video. Superfluo poi parlare del suo rapporto speciale con il mondo del cinema, a partire dal leggendario guardaroba di Richard Gere in “American Gigolò”) per proseguire con decine di altre celebri pellicole (Gli intoccabili, Cadillac Man, Ransom, Il procuratore, Indagine a New York, solo per citarne alcuni), amatissimo dalle star di ogni latitudine. Fu inoltre insignito di varie onorificenze pubbliche e private, tra cui alcune accademiche.
Fu un convinto sostenitore e promotore dei designer emergenti a livello internazionale, a cui in più occasioni concesse l’utilizzo del suo teatro in via Bergognone come location per le loro sfilate.
Amante dello sport, disegnò le divise per varie squadre di atleti, ma si fece apprezzare soprattutto come patron della squadra di pallacanestro dell’Olimpia Milano, di cui fu proprietario e di cui favorì i trionfi con il suo supporto materiale e ideale.
Il tema della successione gli deve essere costato molti pensieri e apprensioni, dubbi e indecisioni, e sapremo solo nei prossimi tempi quale destino egli abbia effettivamente deciso per la sua creatura imprenditoriale racchiusa nel brand, di cui ha sempre desiderato tutelare l’identità e l’heritage.
Ricordiamo che nel 2016 volle creare la Fondazione Armani con la missione precipua di salvaguardare e sviluppare il suo progetto manageriale, assicurando innovazione ed eccellenza, tramite una politica di continui investimenti e di ricerca della qualità del prodotto e la crescita di nuove competenze, facendo sì che i valori dello stilista perdurino nel tempo e vengano rispettati nella politica della società.
Lo vogliamo citare anche per la celebre lettera scritta nel 2000, in piena epidemia da Covid, alla rivista WWD – Women’s Wear Daily, per denunciare quanto “sia assurdo lo stato attuale delle cose, con la sovrapproduzione di capi e un disallineamento criminale tra il tempo e la stagione commerciale”. Rallentare, quindi, diventa “l’unica via d’uscita che riporterà valore al nostro lavoro”. D’altronde, “il declino della moda è iniziato quando il segmento del lusso ha adottato i metodi operativi della moda veloce, imitando il ciclo di consegna senza fine di quest’ultimo nella speranza di vendere di più, ma dimenticando che il lusso richiede tempo, per essere raggiunto e apprezzato”. “Non ha senso che una delle mie giacche o tute viva nel negozio per tre settimane prima di diventare obsoleta, sostituita da nuovi prodotti non troppo diversi”. “Non lavoro così e trovo immorale farlo”. “Eleganza senza tempo. È questa l’idea in cui ho sempre creduto”.
E noi vogliamo salutarlo con stima e affetto, ma soprattutto con la gratitudine che si deve ad un Maestro, richiamando ancora le sue stesse parole: “L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”.



Di seguito il link alla sfilata di Armani Privé A/I 25-26








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