Ai primi freschi
Fine dell’estate, sprazzi di luce ammiccante che, pur non facendola rimpiangere, indicano un calo “fisiologico” che, indubbiamente, si ripercuote sull’umore.
Desideri e bisogni che si danno il cambio, si intrecciano, si contraddicono. In una altalenante e strana precarietà.
Qualche fine settimana conserva ancora il sapore vivace della stagione che va terminando, qualche altro ha già quell’aria “fané” che va a sfumare, a sfociare, nelle più morbide atmosfere autunnali. I colori intorno a noi vanno man mano rarefacendosi e si fanno meno netti, meno incisivi.
Anche ciò che indossiamo risente di questo passaggio che, inevitabilmente, si ripete ad ogni cambiamento climatico e che, altrettanto inevitabilmente, chiede pegno.
Ed ecco che, sulla “scena”, compare di tutto.
Compare chi non si arrende all’evidenza e seguita a sfoggiare canottiere di lino e shorts inguinali, collane di corallo e cappelli di paglia, ciabatte di plastica fluo -non se ne può più- e cinture ornate di conchiglie. E questo, ovviamente, in città”¦”¦
Compare chi, al contrario, si infila già una maglia pesante e un pantalone “sostenuto”, una mantella di gabardina secca e degli stivali di cuoio grasso -a questi, ahimè, vista la loro trasversalità, ci stiamo abituando da tempo-, un basco di feltro e un bracciale di vellutino.
Nostalgici ad oltranza i primi, impazienti oltremodo i secondi.
E sempre, comunque, il solito discorso: non riuscire a godere del momento presente, quello che, da solo, viene a suggerire il giusto senso della misura e il giusto senso del nostro modo di adeguarci ad essa.
È vero, costa fatica rinunciare all’azzurro che vediamo pian piano trasformarsi nel grigio, o chiudere la porta a quel poco di bianco abbacinante rimasto, accogliendo al loro posto un triste e lattiginoso colorino neutro che non sa né di me né di te. Ognuno reagisce in maniera diversa -a volte opposta-, ma tant’è! Quando il momento della riorganizzazione arriva, vale la pena di assecondarlo, trovando quel giusto equilibrio che ci traghetta quatto quatto, ma con stile, nel “nuovo”.
Via libera allora a piccoli compromessi che, come un gruppo di auto-aiuto, permettono e promettono alla creatività e alla fantasia di rivelarsi. Impariamo daccapo la bellezza, la capacità, di accorgerci dei dettagli. Rivitalizziamo e acuiamo i sensi per scoprire novità nel preesistente -e viceversa.
“Il pane di ieri è buono domani”, dice un vecchio proverbio.
Sarà bellissima e “inedita” la medesima t-shirt che stiamo usando da maggio, una volta accostata ad una gonna in canvas beige andata a sostituirne una simile in canapa color corda ormai da accantonare.
Risulterà meravigliosa la camicia bianca non più portata aperta sopra un top a righe marinare, bensì allacciata fino al collo -a mo’ di novella educanda- e arricchita da un magnifico collier in argento vecchio o in silicone lucido (quelli di Georg Jensen o di Gaetano Pesce, per esempio!).
Diventerà immediatamente adatto alle nuove temperature il cardigan di cotone “corposo” usato e strausato nelle serate estive un po’ freschine o conservato nella borsa per un improvviso “coup de vent” -o d’aria condizionata glaciale-, se, cinturato o strizzato in vita da una pashmina comperata da poco, sapremo rinnovarlo e rinvigorirlo con furba maestria.
Apparirà gradevole e stuzzicante come un gioco l’eterna alternanza del bianco e del nero: insieme a formare geometrie déco insolite e fantasie floreali pittoriche, o ciascuno per suo conto ad imporsi prepotentemente nella propria intramontabile beltà.
Tubini candidi in croccante crèpe o in fluttuante cady (Andrea Osvart ne ha indossato uno raffinatissimo al “Leone” di Venezia), tubini color della notte che, neanche da dire, parlano da soli. Ovunque e dovunque (tra pochi giorni “Colazione da Tiffany” compirà mezzo secolo – è uscito nelle sale cinematografiche il 5 ottobre 1961- e, per questa occasione, in edizione limitata, verranno messe sul mercato, per la gioia dei collezionisti, delle “dolls” ad immagine e somiglianza dell’indiscussa classe di Audrey). Sempre.
Possono dunque essere tanti gli accorgimenti per svecchiare senza bruciare le tappe, per reinterpretare senza diventare subito “vittime” della brama di anticipazione. Le piogge violente, coi loro impermeabili appresso “¦..che aspettino pure. Poca acquerugiola può essere sufficiente per farci abbandonare definitivamente gli abiti impalpabili e per lasciarci amare ancora per un po’ quei mezzi-pesi così premurosamente pronti a ricacciare indietro, senza gravarci troppo, i primi brividi.
Finita l’estate, è ancora dolce il tempo che ci aspetta. E ancora dolce il tepore che, in modo inatteso, ci può inaspettatamente sorprendere.
Vale certo la pena seguire senza fretta l’onda, anche se non più quella del mare, sicure che, prima o poi, la stagione “decisa” non tarderà e che, come affermava Verga,
“Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo”.
Forse dovremmo farlo valere per ogni cosa”¦..