A un passo da qui

Incontrare l’arte di Amaranta Medri, trentenne creativa milanese, è un’esperienza sorprendente e rinfrescante per la mente, che fa appello al nostro senso dello stupore e al nostro intelletto, stimolando riflessioni non banali sul presente, al di là dell’apparente bellezza delle immagini e dell’ironia che queste fanno vibrare insieme a una nota di inquieta amarezza.
E’ un’arte nuova ed emozionale quella della Medri, nella misura in cui mixa codici estetici e mezzi espressivi diversi (fotografia, video, animazione, collage digitale), ma soprattutto nel modo “puro” in cui si lascia ispirare da correnti e artisti diversi, attingendo in primis alle suggestioni del surrealismo novecentesco, reinterpretato originalmente nella chiave onirica del Terzo Millennio.
Fino al 6 giugno, alla galleria CarloCinque di Milano, è possibile immergersi nelle proposte visive della sua prima mostra personale, intitolata “Cartoline da un altrove. Omaggio a Domenico Gnoli”, in cui Amaranta sperimenta il potenziale trasformativo delle immagini, tale da condizionare il senso della realtà, ovvero la percezione del mondo in cui viviamo più o meno coscientemente e più o meno responsabilmente.
La rassegna segue due percorsi paralleli e convergenti allo stesso tempo, in moto pendolare tra narrazione e visione, ovvero spaziando dalla serie fotografica “August in Greenland” alla sequenza di video in rapporto dialettico con un artista da lei molto amato: “Playing with Domenico Gnoli”.
La poetica artistica che la mostra invita ad esplorare si basa quindi, da un lato, su una cultura estetica che asseconda l’iconografia ambientale mainstream in cui l’artista colloca, però, un elemento disturbante: l’essere umano. E’ spiazzante e di grande impatto – anche etico oltre che visivo – osservare l’inattesa presenza di persone in contesti naturalistici di sommo fascino, irrorati di luce pulsante: paesaggi di ispirazione pittorica che, in virtù di questo innesto umano tale da trasformare tutto in set vacanziero, si avvertono come minacciati e in pericolo.
Il secondo nastro che la mostra dispiega, d’altro lato, è quello della videoarte declinato su particolari desunti da opere di Domenico Gnoli, che la Medri ha interpolato con veloci animazioni in cui le silhouette si muovono agilmente, con levità e un pizzico di “pepe”, mai privo comunque di rispetto e stima.
Si tratta di curiosi inserti dipinti – bottoni, chiome, cravatte, tessuti – in cui silenzio e fissità dialogano con movimento e suono, trascinando lo spettatore in un’esperienza di storytelling giocosa sì, ma anche seria nella misura in cui lo induce alla riflessione sul potenziale esplicito ed implicito dell’immagine.
Un altro artista con cui Amaranta sceglie di confrontarsi è Tino Stefanoni, non tanto per rievocarne l’anelito di ricerca archetipica nello spirito di un personalissimo minimalismo, ma per raccontare “surrealisticamente” il tempo in presa diretta, facendolo rivivere attraverso la costanza della memoria.
E’ permeata di valori l’arte di Amaranta Medri, così come della consapevolezza macluhaniana che il medium è il messaggio; ma il suo fine non è quello di promuovere un altisonante manifesto etico-culturale, volendo piuttosto “sussurrare” la sua visione del mondo, con leggerezza e garbo, come dimostra ad esempio una delle opere più emblematiche e icastiche in mostra, “The World in Fire”, in cui un velivolo militare gradualmente e “pacifisticamente” si trasforma in un aeroplanino di carta.
La dimensione congeniale alla Medri, in definitiva, è quella della realtà mascherata da sogno (o viceversa), poeticamente “ad un passo da qui” direi, mediante cui l’artista può immaginare e rappresentare il mondo per interrogarsi sul suo destino. Con apparente distacco e ludico gusto di riscoperta della banalità del reale, che è anche segno di saggezza. Perché dalla pesantezza dell’hic et nunc ci si può anche liberare, per poter poi incidervi un segno.


