Good-by quiet luxury, bentornato massimalismo

L’evento fieristico “Oro Arezzo” conclusosi da poco ci offre l’occasione per parlare di gioielli, sia dal punto di vista dell’andamento economico sia da quello dei trend culturali.
Questi ultimi si riassumono con le formule: “Good-by quiet luxury” e “Bentornato massimalismo”. Proprio così, il lusso discreto che ha caratterizzato gli anni recenti sta lasciando il posto ancora una volta a volumi maestosi e creazioni scenografiche, rutilanti di bagliori preziosi, malgrado i picchi raggiunti quest’anno dal metallo giallo (circa 95 euro al grammo), mentre i progressi tecnici e tecnologici nelle aziende del settore si palesano sempre più anche nell’estetica dei ricchi accessori.
Come emerso dal convegno “Precious Fashion”, organizzato da Italian Exhibition Group con AFEMO, l’associazione dei produttori ed esportatori di macchinari per la filiera orafa, e con il magazine Leather & Luxury, l’85% delle imprese intervistate ha investito in macchinari e tecnologie, processi, controllo qualità, stampa 3D e galvanica. E, se per l’80% la lavorazione è rimasta invariata, le rimanenti hanno puntato su certificazioni e qualità del prodotto.
La partita del futuro si gioca sempre più tra materiali, processi e costo della materia prima. 4 su 5 aziende non hanno introdotto nell’ultimo anno nuovi materiali, ma 1 su 5 utilizza acciaio inossidabile e titanio, oltre a riciclare bronzo e ottone. Il 70% non ha ancora diversificato la produzione, mentre il 30% ha tentato nuove strade: il 15% si è spostata sul gioiello moda, il 4% sull’occhialeria, il 2% sul segmento beauty, il 5% sull’interior design, il 3% sulla nautica e un rimanente 1% sulla filiera automotive. Inoltre, il 10% delle imprese ha investito in formazione del personale e nuove qualifiche e la medesima percentuale di aziende ha iniziato ad esplorare le potenzialità dell’intelligenza artificiale, che molti già applicano specialmente nel controllo qualità.
A fronte di tutto ciò – spinta tecnologica e fine del minimalismo nel design e nei materiali – alle imprese orafe è richiesto sempre più di dare risposte di sistema, iniziando a pianificare opportunamente la produzione e così tornare a perseguire le aspirazioni che l’heritage storico e l’impareggiabile know-how del Made in Italy meritano di vedere raggiunte.
OroArezzo è stata anche l’occasione per un’analisi puntuale del comparto anche in chiave previsionale, grazie all’evento “Tra mercati, sostenibilità e supply-chain”, a cura del Club degli Orafi Italia e Intesa Sanpaolo.
Il 2024 si è chiuso per il settore orafo italiano con una crescita del fatturato del 4,4%, in controtendenza rispetto ai settori del sistema moda che hanno registrato un calo del -9,1%. Le evidenze dei primi mesi del 2025 mostrano una tenuta con una variazione del 2,4% a gennaio e febbraio. Export di gioielli in oro ai massimi storici: 13,7 miliardi di euro (+49% in valore e +23% in quantità rispetto al 2023), grazie al balzo delle vendite verso la Turchia da ricondurre al ruolo di hub di questo mercato e alla forte domanda di oro indotta dalle tensioni inflative. Al netto della Turchia la variazione dell’export sarebbe stata pari a +0,9% in valore e -6% in quantità.
Le attese per il 2025 ancora positive con una quota del 21% dei rispondenti che si aspetta una crescita del fatturato, di poco inferiore rispetto al 25% che si era espresso in questo senso a dicembre. La recente evoluzione del contesto geo-politico ha modificato il sentiment delle imprese e il 57% ha dichiarato un peggioramento rispetto a inizio anno a fronte del 36% che non ha manifestato modifiche.
La rilevazione ha approfondito il tema delle catene di fornitura. I fattori più rilevanti nelle relazioni di filiera si confermano la qualità delle lavorazioni (76%), il rispetto dei tempi (66%) e il rapporto qualità prezzo (51%) in un contesto di rapporti prevalentemente locali: il 73% delle imprese intervistate ha indicato la presenza di una catena di fornitura articolata solo in Italia.
E veniamo al tema caldo, per non dire bollente, dei dazi, una sfida commerciale globale, che è stata esaminata dall’Ufficio Studi di Confartigianato in un talk “Imprese e made in Italy dell’oreficeria: le sfide del nuovo (dis)ordine mondiale”, promosso dalla Consulta Orafa di Arezzo.
Nel 2024 gli Stati Uniti sono il secondo mercato per l’export orafo italiano dietro alla Turchia, dopo essere stato primo mercato tra il 2020 e il 2023. Tra i territori del “Quadrilatero d’Oro”, Arezzo, Vicenza, Valenza e Milano, gli USA sono il primo mercato per l’oreficeria della provincia di Vicenza, e il terzo per quelle di Arezzo, Alessandria e Milano.
Il valore delle esportazioni è di 1,479 miliardi di euro nel 2024, pari al 9,3% del totale export orafo italiano. Un’applicazione di dazi aggraverebbe il calo delle vendite sul mercato USA, che nel 2024 ha già registrato una flessione del 9,2% rispetto al 2023. Lo sbocco statunitense rimane strategico, ma meno centrale rispetto al passato.
La dipendenza da politiche tariffarie rende il mercato vulnerabile. Diventa quindi cruciale diversificare i mercati e rafforzare il posizionamento competitivo della produzione italiana della gioielleria, in aree ad elevato potenziale: America Latina, Sud Est Asiatico, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Nord Africa e Africa Subsahariana.
Infine, da un confronto tra i sistemi distributivi ed il sentiment dei consumatori tra Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e Spagna – i “Big Five” europei con oltre 20 miliardi di euro di vendite di gioielleria e oreficeria – è emerso un po’ a sorpresa che quello britannico è il mercato più ampio, con un valore di oltre 5,2 miliardi di euro; quello francese è il più dinamico. In ogni paese le gioiellerie sono il canale distributivo dominante per valore, e in Italia arrivano a rappresentare il 78% del totale e tra i loro clienti figurano molti turisti (il 24% del totale). Nel complesso le vendite online di gioielleria e oreficeria pesano per il 15% del valore delle vendite complessive. I bracciali sono il prodotto più acquistato in Italia, gli anelli e gli orecchini in Spagna e in Francia, le collane in Germania. La “bellezza ed il design” è il principale ma non unico “driver” che guida i consumatori nelle loro decisioni. Il “Made in Italy” non è più sufficiente solo come identità geografica e la sostenibilità della produzione è un valore importante, e destinato a crescere, ma pesa ancora poco sulle effettive decisioni di acquisto dei consumatori.